BIBLIS
Non è mai tardi per capire la voce del mare. In solitudine camminando sulla riva, affondando i piedi nudi nella rena morbida, dove spume bianche fanno contorno, ascoltavo il mormorio continuo delle onde con tutti i suoi segreti…
con la luce del tramonto a penetrarmi il viso, ipnotizzata da quel fluire avanti e indietro all’infinito...
L’infinito. Che tempo triste e malinconico. Come il mare, che da tutta l’eternità accarezza la spiaggia, sua amante, prendendola solo a piccoli assaggi e portandola con se un poco alla volta; come le nuvole, che col loro pianto danno vita al germoglio di grano che sboccia nel campo di notte; come la luna e il sole, che si inseguono senza mai sfiorarsi.. come l’umanità, che ogni giorno s’incontra, si ammalia e rinasce. Ed infine come me, che porto via gli amati agli amanti senza aspettare. Non chiedo il permesso alle madri quando le derubo del loro angeli. Non ascolto i pianti e le suppliche, né arrivo quando è richiesta la mia presenza.
Non so cosa sia la pietà. Le ascolto, le creature, parlarne ogni giorno. Ma non so cosa sia, che sapore, forma o colore abbia. Se è di velluto o spinata. Se sa di gelsomino o salsedine.. la salsedine.. l’ambrosia degli dei. Oggi mi fermo a contemplare il mare per la prima volta dopo l’eternità. Ma questa ero io prima di oggi; prima di “sentire”.
Avevo l’aspetto di una donna. Un giorno dovetti recarmi in una parte del mondo dove effettivamente passavo spesso. Spezie, donne vestite con lunghe toghe dai colori squillanti e sfacciati, adornate di perle, collane e gemme in fronte. Palazzi bianchi, tondeggianti, pelli scure e miseria.
L’avevo scelta al museo Salar Jung. Dovevo portar via una bambina dai capelli scarlatti caduta dalle scale. Era un martedì, il giorno delle scolaresche. Mi avviai annoiata e spettrale come sempre...
Trapassavo la folla e il rumore incessante delle grida acute che aumentando mi indicavano che stavo per giungere sul luogo del misfatto.
Sezione neoclassica, grandissimi corridoi pieni di meraviglie! I tetti brillavano e le pareti sapevano di antico, come le pagine ingiallite dei vecchi libri. Quell’aroma dolce e sottile mi accompagnava e distraeva nella ricerca, che non era mai stata tanto difficile. Non sentii più alcun rumore, e la gente ammassata parve sfocarsi lentamente, fino a dissolversi nel nulla. Qualcosa mi attirava altrove, lontano dai miei doveri e non sapevo più che scia seguire. Ero ipnotizzata dagli affreschi.. quelle forme sinuose di tempi lontanissimi mi riportavano indietro.. lentamente in me affiorava qualcosa che non avevo mai sentito. Era forte e mi disturbava al punto da perdere il fiato, ma non volevo farne a meno. Sudavo e sorridevo come un vero corpo fatto di ossa e carne corruttibile e mortale. Più andavo avanti più godevano la vista e il corpo evanescente. Improvvisamente sentii un tamburo battermi in petto, veloce sempre più forte quasi pronto a strapparmi la volontà . Godevo della bellezza sublime nella beatitudine dello spirito con debolezza umana.
Finche la vidi. Una tela. Un’ armonia di colori si rifletteva pregante su uno specchio d’acqua. Pura e bellissima sembrava chiedere perdono; i pensieri e le emozioni si scioglievano nella fluente cascata di capelli nocciola e si riposavano sull’orlo degli occhi scuri.
Lì riconobbi la mia sembianza. Inspirai… io che di ultimi sospiri ero matrona… e mutai in lei, Biblis.
Avevo conosciuto l’arte, come una donna conosce un uomo per la prima volta: con passione.
Quel giorno mi dimenticai della bambina dai capelli scarlatti, e lei continuò a vivere. Gli uomini bisbigliavano di un miracolo, e avevano ragione…
Evanescente mi aggiravo col nuovo aspetto. Mi specchiavo e ammiravo su ogni pozzanghera sporca della città.
Una volta uscita dall’estasi di quella droga, ripresi il senno e tornai ai miei doveri. Era martedì e mentre uccidevo un padre su un prato, una farfalla, dal volo caotico, prese a infastidirmi. Cercai stupidamente di cacciarla, nella speranza che potesse vedermi! Finalmente sembrò allontanarsi, finche si posò sul mio seno.
Paura. Perché mi toccava e non sprofondava nel vuoto?
Sentii di nuovo quel tamburo battermi dentro. Divenni di pietra e per
qualche minuto restammo lì sospesi. L’unico movimento era il suo, provocato dall’incessante alzarsi e abbassarsi ritmico del petto.
Si librò nell’aria, ed io, confusa, la seguii stregata. Era un essere fragile e libero, mi sussurrava di sapere chi fossi, e mi attirava a se come un demonio. Mi condusse distrattamente lontano, ed io mi consegnai ai suoi colori freschi e innocenti.
Mi parlò di lei, della sua vita passata a strisciare solo per quell’unico giorno in balia del vento. Mi diceva quanto fosse bella la vita; che per loro farfalle un solo giorno era ampio decenni. E chi si era mai disturbato di saperlo? Io le portavo solo via..
Parlava dei suoi doveri, avrebbe dovuto trovare un compagno qualsiasi, deporre delle uova, essere forte e vecchia dall’alba al tramonto, e poi svanire; nella speranza di non essere raccolta da qualche bambino e riposta in un vecchio libro per anni fino ad essere dimenticata e ridotta in briciole dallo scartocciare distratto dei fogli! Quella leggenda la inquietava terribilmente..
E poi confidò che mentre rifletteva sulla blanda vita che la attendeva, passandomi accanto sentì una fitta leccargli il ventre, e tutto svanì. Un’attrazione potente, ed al contatto…armonia. Come un santo cattolico, aveva sentito una chiamata.
Elegantemente la vedevo morire ora dopo ora; e quando l’avrei portata via sapevo che avrebbe perso quei colori e la libertà tanto bramata. Ma lei non supplicava, non mi temeva.. lasciava affascinarmi dal suo linguaggio innaturale.
Per la prima volta non ero sola.
Per la prima volta conobbi il desiderio di non portare via quell’anima che mi aspettava serena e mi amava.
Per la prima volta provai pietà, e come lei non adempiva ai suoi doveri, nessuno al mondo soffriva quel martedì..
Non girammo il mondo, ci bastò un posto qualunque. E giungemmo in riva al mare. Eravamo solo un’entità dalla schermatura neoclassica e un paio d’ali blu su un molo. Io le parlavo dell’eternità, e lei, passava i suoi ultimi attimi ad ascoltare qualcosa che non avrebbe mai avuto. Passava la sua vita con la Morte.
Non erano dialoghi fatti di parole; il silenzio ci accordava l’uno all’altra, e le onde forti o leggere traducevano i nostri animi…
Quel giorno capivo che il sole non ama la luna, e il mare non accompagna la sabbia… ma che come petali di uno stesso crisantemo, sbocciavamo e appassivamo tutti, da fratelli. Avevo solo deciso di vedere quel crisantemo come fiore luttuoso, ignorando i sottili legami. Ma qualcosa m’era venuta a svegliare quel martedì, ed io scoprivo le emozioni.
E così non è mai troppo tardi per capire la voce del mare, per scoprire la vita, per ascoltare i segreti dell’unica amica che avevo avuto, e che senza saperlo passava il balsamo su ferite profonde migliaia secoli.
Quel martedì sfiorai le sue ali per l’ultima volta. Una lacrima, reale e ghiacciata, mi rigò il viso corrodendo la pelle. Una volta giunta alle labbra, dal sapore acerbo e crudele, un tremore prese a scuotermi violentemente le membra e l’incantevole immagine di Biblis si frammentò con dolore e si strappò via da me lacerandomi e percuotendomi l’anima neofita. Un frastuono improvviso andò aumentando, forte quanto tutte le grida da me provocate dall’alba dei tempi fino ad allora. Poi silenzio. Svanì tutto. Ero di nuovo sola. Persi il fiato e sobbalzai in quell’incubo.
Mi resi conto d’essere io il cancro dei miei fratelli. Così, presi la sua anima, che strinsi forte, e per la prima volta non fui solo il traghettatore, ma l’accompagnatore che non sarebbe tornato indietro mai più.
Avevo vissuto la mia apocalisse in un battito d’ali.
Oggi sento la vita scorrere lontano senza di me, oggi non sento più pianti, non vedo lacrime, né abbraccio sangue. Oggi gli odori dell’odio e il sapore della solitudine mi sono estranei come la pietà di un tempo.
Ancora torno a far visita al profumo di quella giornata in riva al mare; e per pochi, fuggevoli momenti nostalgici, sento ancora l’infrangersi nella rena dei nostri animi accordati , sulle note di quella meravigliosa orchestra d’onde mai stanche. Una lacrima torna a rigarmi il viso, ma dolcemente… mi sgretolo nel vento con piacere in tante piccole ali blu, e, nello stesso volo caotico di quell’onirico martedì, mi sollevo e torno via..
Per la prima volta sono morta, e ho dato la vita eterna a tutti coloro che vivevano nella paura di cadere ogni giorno.